Eterogenesi dei fini


Con l'architetto Raffaella Cosentino condividiamo la passione per l'arte nel significato più ampio del termine: l'espressione attraverso i manufatti tradizionali, le ricerche creative dell'arte contemporanea, le nuove forme del racconto per immagini e quel tocco di originalità che identifica e caratterizza un luogo, una strada, una piazza, rendendoli meta di presenze conviviali. La città dovrebbe essere fatta di mille scorci, da quelli che raccolgono un paesaggio a quelli che si snodano lungo percorsi inediti, fino ai contrasti vitali tra l'antico e il moderno. In questo solco, nessuna parte della città dovrebbe rimanere isolata, trascurata, abbandonata. Così, è nata l'idea di coniugare le tante "Vibo" lasciate nell'indifferenza con una nuova attenzione, con la possibilità di fornire di una nuova identità gli spazi anonimi della città, andando a scovarli. Mai avremmo immaginato, invece, di dover registrare un tale degrado: ne è emerso un "reportage" fotografico che non ha davvero bisogno di parole poichè tutte lascerebbero trasparire lo stato d'animo di una sconcertata amarezza.

Si può affermare che l'espressione "eterogenesi dei fini" (in tedesco Heterogonie der Zwecke) attribuita allo psicologo e filosofo Wilhelm Wundt, profondo studioso dei fenomeni mentali e dei principi psichici, vissuto nel XIX secolo fino al primo ventennio del '900, sia l'esperienza imprescindibile di ogni iniziativa: "conseguenze non intenzionali che derivano da azioni intenzionali".
L'applicazione di questo principio possiede radici nella prassi e nella teoria politica, da Machiavelli a Vico, passando per Hegel e per Marx.
Ma accade nelle azioni di tutti i giorni, piccole o grandi che si possano considerare.


Così è avvenuto nel prendere corpo di un progetto caldeggiato e infine concretamente avviato dall'architetto Raffaella Cosentino per Vibo Valentia: l'idea di punteggiare le zone più anonime e trascurate della città, ma anche le piazze del centro storico, di interventi artistici, manufatti, opere plastiche, revisioni e ristrutturazioni, per restituire al complesso urbano presenze identificative.
Si può fare, anche con risorse minime, contenute, chiamando gli artisti a dare il loro contributo creativo pur fornendoli dei mezzi necessari.
Il concetto vale anche per figure professionali come gli architetti che possiedono visione e relative soluzioni per dare contenuti nuovi agli spazi pubblici.
In questa scia, Raffaella Cosentino ha iniziato a raccogliere significative immagini della città immaginandone il recupero.


Si pensi, come esempio, alla zona genericamente chiamata "dell'autostello" - originariamente sorse uno stabile adibito a questo scopo - e allo straordinario panorama che oggi rimane nascosto: basterebbe un serio intervento di consolidamento del costone e in alto la realizzazione di una nuova "piazza", arricchita da una grande opera plastica d'arte contemporanea oltre che dai classici ausili d'accoglienza (panchine, sprazzi di verde etc.).
Ecco, anche solo concentrando un po' di attenzione a questo spazio, s'otterrebbe un risultato splendido e coerente con la storia di Vibo.
Eppure, basta scorrere le immagini della situazione attuale per rimanere sconcertati: vista da vicino, con l'occhio della fotografia, quello che, probabilmente, si è abituati a vedere distrattamente, emerge in tutta la sua decadenza.


Non commento e metto in fila le immagini della zona, senza soluzione di continuità.










Mi si può credere se aggiungo che occorre un notevole sforzo per mantenere l'impegno a non commentare, a contenere le parole.
Tuttavia, osservando la situazione non si può che guardare il bicchiere mezzo pieno: non vi possono essere dubbi che si tratti di un'area da recuperare e valorizzare.
Soprattutto, da restituire alla cittadinanza.
In prossimità ci si trova nella zona dell'Affaccio: anche qui l'andazzo non si discosta dall'esordio, per quanto l'area degli edifici popolari presenti su questi alcune facciate che potrebbero fare da supporto per enormi graffiti, la "Street Art" che da diversi anni riveste un significativo ruolo sociale proprio nei quartieri periferici o più poveri.






Naturalmente, non si può fare a meno di evidenziare il resto: anche qui tenendo fede alla riserva su ogni possibile commento.









Tornando indietro e addentrandosi nella zona del Cancello Rosso, il "leitmotiv" si mantiene vigoroso mostrando di nuovo una città "sfregiata".










Appare, in una delle strette viuzze, uno spiraglio di speranza: una tappezzeria, epigono di un'antica maestria artigiana che permane come oasi in un deserto.
Ce ne fossero.
A Napoli, quartieri come "Forcella" sono stati recuperati associando arte, artigianato e gastronomia: un modello di valorizzazione che non guarda solo al patrimonio edilizio e al modello urbanistico ma coglie la prorompente umanità che ne costituisce l'identità.
 

Occorre ripensare la città anche traendo buone pratiche da questi esempi.
Torniamo a Vibo.
Nei paraggi, lungo le strade che costeggiano Via Dante Alighieri, ancora esempi di incuria.









Peraltro, qui emerge un grande spazio recintato privo di una funzione, al pari di quello che si trova a poca distanza, dirimpetto all'oratorio "Don Bosco".
Sembra mancare l'attenzione, lo sforzo creativo e applicativo per connettere queste parti del territorio urbano con la città.


D'altronde, quest'indifferenza non si limita alle zone che si potrebbero definire "senza nome"
No.
Accade anche per spazi ricchissimi di storia e tradizione.
Come per la "Porta Conte d'Apice" nella zona medievale di Vibo arroccata sulle pendici che vedono in cima il Castello Normanno Svevo, tra le poche strutture del patrimonio pubblico che regge di fronte all'incuria generale: forse perchè affidato al Museo Archeologico Nazionale




Promuovere, porre in rilievo, valorizzare: dovrebbero essere queste le parole d'ordine: qual'è la "ratio" in questa sciatta disattenzione?
Vibo Valentia è "storia a cielo aperto", davvero la "città di tutte le epoche" come spesso ripete Enzo Romeo: 
«L'identità di una città non s'inventa.
È nelle sue pietre, nelle strade, nei profili dei palazzi, nelle scalinate, nei viali, nei vicoli, nelle piazze.
Ma è anche nelle voci della sua gente, nei volti, nei pensieri che la costituiscono giorno dopo giorno.
Bisogna amare qualcosa per poterla capire.
La città possiede un'anima che va saputa ascoltare.
E la nostra Vibo ha ancora così tanto da raccontare di sé: le tracce straordinarie dell'antica "pòlis" e quelle misteriose del borgo medioevale, le sue chiese custodi di riti, tradizioni e arte assieme ai palazzi che ne connotano la storia urbana, architettonica, sociale ed economica, monumenti che segnano i passaggi d'epoca.
E il mare, il porto e il quartiere sulla costa, mai veramente compreso e valorizzato in una città che dalle sue rocche avrebbe dovuto farne vanto.
Così, è in questa visione che si racchiude il tesoro più ricco che Vibo Valentia possiede.
Come fosse una città già scritta.
Eppure, ancora tutta da rivelare e da narrare: per farla nuovamente preziosa agli occhi di chi l'ama e dei tanti che potranno conoscerla innamorandosene.
Questo è, al fondo, il senso di un progetto che unisca il passato al presente: il salto verso una stagione di nuovo florida spicca dalla solida sostanza dell'antico.
»

Eppure, anche le aree che costituiscono una parte del "Parco Archeologico" versano in una condizione di assenza: di visitatori e della indispensabile attenzione.
Da "Sant'Aloe" 







al "Cofino"




fino alle "Mura Greche".








Ma Vibo Valentia riserva molte sorprese: non si tratta di vederne solo l'enorme patrimonio, ancora largamente inesplorato e conservato (si fa per dire) nel sottosuolo, ma di cogliere i segni del tempo, delle epoche, della sua lunghissima storia, anche attraverso particolari trascurati.
Alcuni esempi sono rintracciabili attraverso un occhio attento e riflessivo - caratteristica che distingue Raffaella Cosentino - in alcune delle strade più datate, scorgendo nel centro storico segni che somigliano a invocazioni, voci flebili che echeggiano un appello da troppo tempo inascoltato.
Ho scelto di includere le immagini - sono davvero molte - senza aggiungere nulla: parlano da sé.









































































































































Scorci, vicoli, scalinate, portali, balconi, nicchie, piazzette dalla vista panoramica nascosta, un florilegio di particolari che scorrono come opere antologiche di un medesimo tema: la dimenticanza.
Eppure, tanto potrebbe essere fatto, incentivando i privati e intervenendo sulle aree pubbliche, inducendo gradevolezza e decoro e promuovendo bellezza e accoglienza.
D'altra parte, basta considerare singoli monumenti come la Chiesa di San Michele, 


oppure Piazza San Leoluca,


o il rinomato Palazzo Di Francia,  


o ancora con la Villa Comunale,
 

per rendersi conto, attraverso poche, singole riprese video, quale prezioso aspetto la città riserva e quanto si potrebbe fare per trasformare i luoghi sparsi in piccoli scrigni: l'associazione dello spazio urbano con opere d'arte contemporanea creerebbe tanti originali palcoscenici in grado di narrare una città di nuovo volenterosa, nuova, vitale, rifondata sulle sue vestigia.
D'altra parte, è già accaduto lungo Corso Umberto I di valorizzare piccoli spazi: certo occorrerebbe fare molto di più, ristrutturando il muro che contiene le nicchie e allestendo un'illuminazione scenica.
Proprio in questo si nota quella mancanza di attenzione per i particolari che invece "caratterizzano" un nuovo concetto di città o un modello di città che ritrovi le tracce e il carattere di quella che è stata nel passato: le due visioni, in fondo, coincidono





















Persino su Corso Vittorio Emanuele III si colgono spazi anonimi o inutilizzati che destano interrogativi.





Quartieri antichi, che ci si è quasi abituati a considerare marginali, invece raccontano storie rimaste mute: come nella Terravecchia. Anche qui, tante immagini che lascio in sequenza.









































Purtroppo, anche qui, una sorta di quadro sinottico punteggiato dalle evidenze dell'incuria, dell'abbandono: è il segno attuale della città.
Provoca, ahinoi, enorme dispiacere.
Ma la città non finisce certo qui: c'è ancora tanto da vedere per rendersi conto del suo incontrastato incanto velato.
Con un balzo saliamo a Villa Gagliardi e percorriamo "A Parrera", antica strada che in dialetto significa "cava di pietra", situata nel mezzo tra Villa - forse la più bella della città - e il Giardino del Convento dei Cappuccini, nel quartiere dell'antico borgo nel quale sorgeva anche la vecchia Giudecca: basterebbe, come sostiene Raffaella Cosentino, unificare i due polmoni verdi, carichi di memoria, per ottenere un luogo di straordinario fascino e meravigliosa qualità urbana.
Come testimoniato dai video che di seguito lascio al giudizio dell'osservatore.






Voglio arricchire questa suggestione con altre immagini statiche che non sono da meno.





Il discorso, come un "logos" in cerca di fondamento, rimane aperto.
E riguarda anche le nuove zone verso le quali la città s'è sviluppata. 
Il grande quartiere di "Moderata Durant" è quello che si presta di più, visivamente, a questo "logos sospeso", indicativo di una transizione verso l'attesa qualità dei servizi primari e secondari.
Ricco di aree "anonime" da valorizzare.
Ecco le immagini di una zona che peraltro ospita il costruendo Teatro e il Parco Urbano.  





















Ovviamente, la città non è tutta qui.
Eppure questo sguardo ampio risulta assai indicativo: non è una percezione veloce ma uno stato di fatto, l'evidenza di un distacco atavico tra l'amministrazione e il tessuto urbano.   


Un'incursione - limitata a qualche scatto soprattutto sullo splendido Lungomare che tuttavia rimane spoglio e che potrebbe accogliere opere plastiche dedicate al tema del mare -  tuttavia è stata compiuta anche a Vibo Marina, dove i due architetti Raffaella Cosentino e Antonella Pupo ("attenti a queste due", per parafrasare un celebre telefilm degli anni '70) sono andate insieme alla ricerca di un immobile industriale dismesso che possa fungere da sede per un grande Museo dell'Arte Contemporanea: istituzione che manca alla città e che sarebbe assai significativo collocare proprio nel quartiere marinaro, a rappresentarne l'inizio di un riscatto e di un'affermazione d'identità.



























Su Vibo Marina occorre tornare per esplorarla a fondo.
Un impegno che Raffaella Cosentino e Antonella Pupo hanno intenzione al più presto di colmare.
Unitamente ad altre zone della città.  
Nel frattempo e anche in questo caso, su Vibo Marina assumono importanza le parole di Enzo Romeo


«In scia con quanto da tempo sostiene la Pro Loco di Vibo Marina, l’esigenza è di valutare un disegno organico per il quartiere marinaro di Vibo Valentia, da sempre fiore all’occhiello nelle parole delle amministrazioni comunali eppure mai davvero inquadrato come soggetto di sviluppo della città vista nella sua interezza.
Certamente il porto è una realtà ancora lontana dall’essere realizzata: ha perso molto della sua vocazione ittico-commerciale e non è mai decollato come ambito di attrazione turistica. Ma non è sufficiente rimanere al tema del porto: come ha ben sottolineato la Pro Loco, siamo ancora molto indietro e in alcuni casi non si è ancora iniziato a concepire e valorizzare l’enorme portata del polo culturale che Vibo Marina potrebbe riservare ai flussi turistico-ricettivi. Allo stesso modo, i siti industriali dismessi non possono rimanere come delle cattedrali fantasma, permanendo una coltre di silenzio inaccettabile per la comunità del quartiere e per l’intera città, siti che, ad esempio in Viale delle Industrie insistono su aree demaniali.
Ma Vibo Marina non deve essere vista solo per il suo decisivo ruolo di sviluppo ma anche come parte costitutiva e integrata della città: dalla delegazione comunale a un presidio sanitario di riferimento, anche per il “primo soccorso”, oltre a quelle soluzioni infrastrutturali (ci sono proposte molte serie su questo tema, in particolare indicate dall’Associazione Progetto Valentia” con la quale siamo in sintonia) che possono rendere agevole e veloce il collegamento tra il “centro” e la “marina”.
Occorre fare squadra e tenere ferma una linea: le idee sono state discusse e ormai la situazione è sempre più chiara ed evidente sul percorso amministrativo da intraprendere per realizzare un modello di sviluppo sostenibile e togliere alla comunità di Vibo Marina la sensazione di essere marginale rispetto al quadro critico dell’intera città.
Vibo Marina non è un problema ma la risorsa essenziale per una soluzione che faccia uscire la città dal pantano nel quale si trova immersa.
»


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Un ringraziamento affettuoso al Visual Artist Tonio Verilio per l'immagine "creativa" in copertina.
Grazie di cuore a Raffaella Cosentino per l'impegno rimarchevole e appassionato che ha profuso per consentire la realizzazione di questo reportage sulla città e per tutte quante le numerose immagini e i video che compaiono nell'articolo e un grazie sentito ad Antonella Pupo per la preziosa collaborazione.  




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