Il disastro e il rimedio
"Ex malo bonum". La celebre citazione di Agostino d'Ippona non si presta a un vacuo ottimismo ma al tema della crocifissione in rapporto agli esiti universali della dottrina cristiana. Dunque, non è applicabile a tutto. Ma è un buon viatico per non lasciare che l'animo si maceri nell'amarezza. Così, il primo incontro "tecnico" del Centro Studi "Progetto Vibo Valentia" ha preso corpo in un racconto complessivamente disastroso sullo stato dell'urbanistica e delle infrastrutture primarie della città fino a sciogliersi, subito dopo, in una via dei rimedi possibili e delle soluzioni congeniali. Tenendo nel dovuto conto il profondo mutamento d'epoca e l'esigenza di fare presto.
Architetti e ingegneri: alcuni tecnici di valore hanno accettato l'invito di Enzo Romeo per definire il quadro complessivo di una materia complessa, fondamentale e delicata per Vibo Valentia: lo stato dell'urbanistica e delle infrastrutture primarie.
Qual'è davvero la situazione?
Se è grave, come è emerso da molti segni nel corso degli ultimi anni, quanto è grave?
E quali rimedi sono possibili?
Domande-chiave per una città che annega nelle sacche di problemi irrisolti, boccheggia, alla quale manca l'aria, che respira a fatica.
Così, tra i primi impegni del Centro Studi "Progetto Vibo Valentia" è emersa la necessità di capire.
Iniziando con l'ascoltare chi sia competente della materia, per qualità professionali e per esperienza, conoscenza profonda della città.
Confesso la mia curiosità: l'argomento è uno spartiacque, il tema dei temi.
Su di esso s'innesta un progetto che non potrà essere che "organico".
O meglio: "relazionale".
Oppure, non sarà.
Infatti, una visione complessiva, appunto "organica" della città, è emersa fin dalle prime battute.
Raffaella Cosentino, architetto e tra i soci fondatori del Centro Studi, nella sua introduzione generale ha marcato quest'esigenza e l'ha correlata ad una nuova relazione con l'ambiente e le nuove tecnologie, la cura e il decoro, il centro storico e le periferie.
La città vista come un insieme.
Nel suo discorso non è mancato, peraltro, un appello a fare fronte comune, a costituire un "comitato" in grado di dare consistenza programmatica a questo dibattito giustamente ritenuto "urgente" e "ineludibile".
Forse è già tardi?
Di certo, questo il succo finale del ragionamento dell'architetto Cosentino, "non si può attendere oltre lasciando che la china decadente abbatta ogni residua speranza."
L'architetto Gino Achille, socio fondatore pure lui, ha integrato l'esortativa voce iniziale di Raffella Cosentino incanalando il dibattito verso una disamina più analitica, centrata su un "nuovo modello di sviluppo della città" attraverso il Piano Strutturale Comunale e il Regolamento Edilizio e Urbanistico.
Qualche brano del suo intervento aiuta a inquadrare la situazione:
«La città di Vibo Valentia, come un po' tutte, si è formata, dalla piccola alla grande scala, sotto il rigido controllo dello zoning.Questo modo di pensare la città ha creato a causa della
sua staticità progettuale, via via città non si rado invivibili, quelle che Luigi Lombardi Satriani chiamava "le città delle solitudini.'
Una città, tutto sommato piccola, come Vibo Valentia, è riuscita così ad avere le sue periferie distaccate dal centro e da alcune dinamiche urbane.Grande esempio di luogo della solitudine, della separazione e della disgregazione sociale, è Vena di Jonadi, abitata da tantissimi vibonesi, a tal punto da generare l'assurda realtà che il più grande quartiere di Vibo è in un altro comune, sia pure limitrofo.»
Conviene seguire il ragionamento di Gino Achille, volto a raccogliere la sfida del passaggio, già sommariamente e con altre parole anticipato da Raffaella Cosentino, dalla statica città delle solitudini alla viva città del divenire, felice espressione dello stesso Achille che ha così proseguito:
«...per non ripetere gli errori del passato, iniziamo individuando tre "capisaldi":
1) Il valore storico e ambientale della città
2) L'emergenza idrico-ambientale
3) Il rapporto col territorio
Sul primo punto: è notoria la lunga storia della città e come le varie epoche abbiano disegnato il suo territorio urbano: il Borgonovo, le Terrevecchie, le maglie regolari angioine. Non solo però dobbiamo conservare queste zone, ma superando il concetto di centro storico dovremo invece parlare di "città storica", nella sua complessità e totalità. Alcuni degli esempi sulla puntualità delle tracce storiche sono gli edifici pubblici e privati edificati dal fascismo ed i tracciati delle strade storiche di grande collegamento.
In questa "conservazione" dei beni storici si possono anche includere gli affacci e le fonti con le relative passeggiate.
In ordine al secondo punto: l'alluvione del 3 Luglio 2006 ha messo a nudo la fragilità del territorio vibonese nel quale il pericolo delle frane è fortemente presente, come testimoniano la piazza di Triparni, il costone sottostante l'Hotel 501, il grande smottamento di Maierato. Qualsiasi intervento programmatorio di ridisegno urbano paesaggistico dovrà tenere conto dunque della messa in sicurezza del territorio, comprese ovviamente le aste fluviali presenti.
Eventi climatici come quello del 3 Luglio non devono essere inquadrati come fatti rari e imprevedibili, bensì come eventi purtroppo ripetibili e quindi da gestire nella loro portata.
Infine, sul terzo punto: una seria riflessione va fatta sul riequilibrio territoriale di Vibo Valentia, inquadrato in quelle che dovranno essere le future strategie di sviluppo. Il rapporto della città con il territorio circostante - PTCP Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale - non può non partire con l'individuazione del ruolo che le frazioni dovranno avere con il capoluogo e del rapporto che l'intero territorio provinciale dovrà avere con quello regionale, quindi dell'interscambio che si dovrà generare con i poli infrastrutturali di Lamezia Terme e di Gioia Tauro e con le aree interne di montagna e quelle marine della costa.
In questi momenti di pianificazione territoriale e urbanistica hanno la loro rilevanza alcuni argomenti: il rapporto con il mare, il waterfront, la vocazione del porto, la riconversione delle aree industriali dismesse e l'eliminazione dei depositi costieri.»
Le relazioni iniziali, precedute dall'introduzione di Enzo Romeo sulle finalità "politiche" del Centro Studi, finalità che si rivolgono alla "pòlis", alla città come corpo collettivo meritevole di attenzione complessiva, senza distinzioni o visioni di "parti" separate, mi danno l'impressione di essere state ascoltate in un'atmosfera fremente: tutti appaiono concentrati e alcuni perfino impetuosi, pronti a dire qualcosa che serbano nell'animo da molto tempo.
L'impressione trova conferma nel primo intervento, quello dell'architetto Salvatore Monteleone, vice presidente dell'Ordine di Vibo Valentia: è come un fiume in piena.
Profondamente addentro alle questioni più complesse che dipana con parole appassionate, tra le tante ad emergere dalla sua disamina appare la città delle tante incompiute, lavori necessari e mai eseguiti, la mancanza di un disegno di programmazione, aree che richiederebbero interventi urgenti di manutenzione e soprattutto "scelte" che non arrivano mai, lasciando nel silenzio insopportabili tracce di disattenzione e poi di degrado.
Si avverte nelle sue parole un sentimento di amarezza.
Che non è mitigato dall'intervento successivo, quello di un altro architetto, Enzo Carone, esperto nel restauro di opere monumentali: si sofferma in modo particolare sul "centro storico", sui problemi impressionanti che riguardano le reti e i servizi primari e sui molti edifici disabitati che lo costellano, privati ma anche di proprietà comunale.
Questi ultimi, qualora recuperati al patrimonio della comunità attraverso destinazioni d'uso congeniali alla rivitalizzazione della Vibo più antica, potrebbero rappresentare una delle prime soluzioni di produttiva discontinuità con il passato, un atto politico dirompente se realizzato dopo uno studio finalmente accurato.
Tuttavia lo stato dei servizi desta notevoli perplessità.
Su questo sfondo emerge un altro tema: quello dello spopolamento dal centro alle periferie e quindi di un riflusso al contrario nel centro storico, avvenuto in anni recenti e tuttora in corso, che rischia di creare disarmonie alle quali la città non sembra pensare.
Già, una città che non pensa.
Ed è l'architetto Francesca Tulino a puntare l'indice su questa mancanza: una città vissuta senza una visione organica non ha speranze, non riuscirà mai a scrollarsi di dosso criticità che si sono stratificate nel tempo e che ancora si accavallano come pratiche mai evase, mai neanche istruite.
Un esempio sui tanti che cita? Le aree sportive, carenza piuttosto evidente.
Voci che si affacciano: Enzo Romeo che modera la discussione punteggiandola in un quadro amministrativo severo e nel ricordo delle tante cose realizzate da presidente dell'amministrazione provinciale tra il 1995 e il 1999, non tralascia un cenno all'organizzazione della macchina comunale: alcune prerogative rispondono a un frainteso modello di accentramento che non valorizza competenze presenti, anche in un'epoca di carenza nella pianta organica del massimo ente della città.
In questa scia si accoda l'ingegnere Giuseppe Belmonte, animato da un acceso spirito polemico: si tratta, tuttavia, del moto d'animo di un cosentino ormai da anni trapiantato a Vibo e innamorato della città.
Le cose non vanno e anche lui le racconta.
Con una delusione che sottende speranza.
Tutti mostrano questi sentimenti di fondo: frustrazione e avvilimento che paradossalmente si accompagnano a una fiducia che a me, in ascolto stupito di un racconto disastroso, sembra un meraviglioso atto di coraggio.
Vibo fa quest'effetto: la odi per il suo degrado e la ami per una bellezza intrinseca che si vorrebbe svelata e protetta.
Gino Achille si accorge di una deriva da arginare: la discussione si fa accesa ma i distinguo debbono essere calati entro un profilo tecnico più freddo, distaccato, sorretto da rappresentazioni trattenute nelle maglie di un disegno armonico.
Così, s'impone e chiede ai colleghi di sviluppare i temi attraverso brevi testi che raccolgano il loro parere e possano essere valutati e integrati.
C'è il massimo accordo: questo non a caso è un "Centro Studi" come ricorda in una battuta Salvatore Monteleone.
Ha ragione.
Il prossimo incontro troverà realizzati questi cenni che rivestono un'importanza rilevante.
Il lavoro comincia a strutturarsi.
Compaiono riferimenti al tema delle "zone rosse", al "piano della viabilità", al problema annoso dei parcheggi e alla relazione tra la città e le esigenze del commercio, fino al quadro molto preoccupante che afferisce il piano di approvvigionamento idrico, una questione enorme che richiede un impegno particolarmente gravoso.
Ne parlano in diversi interventi sul filo del dialogo gli ingegneri Giorgio Guaricci e Antonio Bruni assieme all'architetto Florio Fiorenzo che ritorna anche sul tema dello spopolamento in relazione al patrimonio edilizio dei quartieri periferici.
Mentre i primi compiono un'incursione su una grande, dibattuta questione: "Vibo Marina", il porto e lo sviluppo mancato.
Eppure, anche per il quartiere "gioiello" di Vibo esistono, per i due tecnici, prospettive, idee, possibilità coraggiose.
Che non dimenticano nemmeno Triparni e Porto Salvo.
In coda emerge anche la voce dell'architetto Antonella Pupo fin lì meditabonda e che si riserva di produrre una specifica riflessione per iscritto.
Si fa tardi.
Per mozione d'ordine Raffaella Cosentino propone di aggiornare i lavori.
L'appuntamento è fissato a breve.
Altri si aggregheranno a questo primo, autorevole e vivace gruppo di studio.
Chissà che non sia la volta buona per una "nuova" Vibo Valentia.
Copyright © Gianpiero Menniti All rights reserved